mercoledì 1 aprile 2009

MARCO AMELIA, QUANDO IL FUTURO E' NELLE PROPRIE MANI

Il portiere del Palermo e della Nazionale si racconta, dagli esordi con la Lupa Frascati alla vittoria del Mondiale in Germania

>>Marco Gaviglia

Marco Amelia è un Campione del Mondo. Ma oltre ad essere un professionista esemplare, è anche una persona genuina, che intende il calcio come un divertimento.
NEL SEGNO DELLA LUPA - A quattro anni il primo contatto con il mondo del calcio, nella Lupa Frascati, dove viene alternato nei ruoli di attaccante e di portiere. “Quando inizi a fare Scuola Calcio non hai un ruolo ben preciso e quindi giocavo sia come punta che come portiere. Poi in una partita riuscii a parare un rigore e quell’episodio mi diede l’entusiasmo giusto per continuare a mettere i guanti”. Il suo DNA si tinge di giallorosso e, dopo quattro anni, passa da una Lupa all’altra. Si aprono i cancelli di Trigoria, dove entra a far parte degli Esordienti della Roma. Il suo primo preparatore dei portieri è Francesco Quintini. “Ho avuto la fortuna di essere cresciuto da dei veri professionisti. Ricordo bene che ogni esercizio veniva preceduto da spiegazioni per farci capire lo scopo e la situazione di gioco a cui si adattava. Dopo Quintini ho avuto Del Ciello, Superchi, Tancredi e Negrisolo, mentre a Livorno ho lavorato a lungo con Pietro Spinosa. Ognuno di loro mi ha dato tanto proprio perché sono stati in grado di infondermi le basi tecniche, che ritengo essere indispensabili”.
ZEMAN E CAPELLO – L’esperienza alla Roma di Marco Amelia vive di una marcia in più, quella che ogni tifoso giallorosso trova nel vestire la maglia che ha sempre sostenuto. Dopo lo Scudetto con gli Allievi Nazionali (stagione ’97-’98) due grandi campionati con la Primavera, il sapore della prima squadra gustato inizialmente grazie a Zeman e poi l’era Capello. La prima panchina di Amelia in Serie A risale al 19 dicembre 1999, in un Parma-Roma terminato 2-0 per i ducali. “Ero in ritiro con la Primavera. Mentre stavamo a pranzo mi chiamò mister Capello per dirmi che si era fatto male Lupatelli e che sarei dovuto partire per Parma. Una grande emozione visto che avevo 16 anni”. Poi la seconda Roma di Capello. “Il mister mi aggregava sempre alla prima squadra, anche se poi andavo in tribuna (per la cronaca arrivarono altre due panchine in Roma-Fiorentina del 26/11/2000 e Perugia-Roma del 3/12/2000). Ho avuto per un anno la possibilità di allenarmi con i miei idoli e arrivò anche lo Scudetto. Emozioni impossibili da raccontare ancora oggi”.
LIVORNO PARTE PRIMA – Dopo il tricolore, la Roma lo manda in prestito al Livorno, in C-1. “La cosa positiva è che venivo seguito costantemente dai dirigenti della Roma, che mi hanno sempre manifestato la loro stima. Rimasi male quando l’estate successiva fui ceduto definitivamente al Livorno, perché pensavo di rientrare a Roma. Nonostante la delusione, questo passaggio fu la mia fortuna. Dopo 10 anni passati a Trigoria considero la Roma una seconda famiglia”.
LECCE, PARMA E LIVORNO BIS – Dopo la promozione in B e un anno da protagonista sempre con il Livorno chiuso al 10° posto con Donadoni in panchina, Marco passa al Lecce dove colleziona 13 presenze prima di approdare a Gennaio al Parma. Seconda metà di campionato senza acuti, visto che davanti ad Amelia c’è Sebastien Frey. Poi il ritorno a Livorno, stavolta in Serie A, di nuovo da numero uno. Una tappa decisiva soprattutto per la continuità di utilizzo con 130 presenze in 4 stagioni.
SERATA DA BOMBER - Il 2 Novembre 2006 con un colpo di testa all’87’ in Partizan Belgrado-Livorno (Coppa Uefa) trovò la via del gol, ripercorrendo un insolito sentiero tracciato da altri colleghi prima di lui, come Rampulla e Taibi. Una rete che permise al Livorno di iniziare la rincorsa verso il passaggio della fase a gironi. Ma la cosa più “simpatica” fu l’esultanza. Premessa: i risultati stentano ad arrivare e Arrigoni viene fortemente contestato dalla tifoseria. Siamo all’ultima spiaggia, uscire dalla Uefa sarebbe stato fatale per il tecnico di Cesena. “Dopo il gol volevo dimostrare al mister la fiducia della squadra. Io non ci stavo a quel clima di contestazione e allora corsi verso la panchina e lo abbracciai così forte che gli incrinai un paio di costole. Il mister mi rinfacciò la cosa per diverso tempo perché sentì dolore a lungo (risata) anche se ovviamente fu una rete che lo fece contento”.
DALL’AMARANTO ALL’AZZURRO - La convocazione per il Mondiale di Germania è la consacrazione per uno dei migliori giovani nel suo ruolo. Parte come terzo portiere con Buffon e Peruzzi. “Seguivo con attenzione Angelo Peruzzi fin da quando giocava nella Roma. Dopo anni passati ad osservarlo da lontano cercando di “rubargli” qualcosa, eccoci compagni di squadra ...”. L’esperienza tedesca ha fatto crescere molto Amelia. “Con Calciopoli si venne a creare un clima pesante, quasi a volerci fare male. Noi ci stringemmo attorno a Lippi e ad alcuni compagni particolarmente bersagliati, con l’intento di fare un gran Campionato del Mondo senza dare ascolto alle cose che venivano dette all’esterno. Ho capito una cosa molto importante allora, ovvero che con un gruppo unito si possono ottenere grandi traguardi, qualsiasi essi siano, dalla salvezza alla vittoria di un Mondiale. Penso che sia meglio avere in squadra giocatori normali ma con grandi valori morali”.
PALERMO, OBIETTIVO CHAMPIONS LEAGUE – In estate il passaggio in rosanero, con un contratto quadriennale. “E’ molto bello giocare in una piazza come questa, la gente ti sa dare motivazioni in più. Come si dice, vincere uno scudetto con la Roma non è come vincerlo con l’Inter, qui a Palermo è uguale. Vincere qui è speciale”. L’unica competizione in cui Marco non ha giocato è la Champions League. “Quello è l’obiettivo futuro. Ecco, quando andai via dalla Roma rimasi male anche per questo perché avevamo da giocare la Champions. Sarei rimasto solo per vivere una partita del genere”. Un sogno che potrebbe avverarsi magari con questo Palermo. “Lo scorso anno si è chiuso un ciclo e la squadra, nonostante buoni risultati, è stata rinnovata. Oggi lavoriamo per costruire un futuro importante, visto che la società è sana sia a livello economico che organizzativo”.
SCUOLA PORTIERI IN CRISI ? – “Penso il contrario, i nuovi preparatori sono molto bravi, studiano e si aggiornano in continuazione. Molti di loro si ritrovano in convegni per confrontarsi. Il problema vero è che la loro figura professionale non è riconosciuta dalla Federazione. Direi più che il ruolo del portiere sembra in crisi perché le società non danno fiducia ai giovani. I grandi club non hanno il coraggio di puntare su di loro sia perché la piazza non lo consente, sia perché gli stranieri costano poco. Inoltre i loro miglioramenti derivano dal lavoro che svolgono una volta giunti qui in Italia con i nostri preparatori”.
GENITORI-ALLENATORI - “Intanto dico che i miei genitori hanno fatto uno sforzo incredibile in primis dal punto di vista economico per accompagnarmi tutti i giorni a Trigoria dagli 8 ai 18 anni. Per mia madre è voluto dire non poter pensare ad un lavoro perché doveva seguire me. Nonostante questi sacrifici mi hanno sempre appoggiato senza mai interferire sul discorso tecnico e questo fa la differenza. I genitori di oggi dalla tribuna si permettono di dire cose che spettano solo agli allenatori ed è un comportamento sbagliato. Senza parlare del viaggio di ritorno in macchina dopo la partita, lì sono anche stressanti. Dico a tutti i ragazzi di pensare solo e soltanto a divertirsi, proprio come dice sempre mio padre”.

A Marco Amelia, campione in campo e fuori, l’augurio sincero di poter coronare il sogno di arrivare a calcare i campi della Champions League e di continuare, come spesso ha fatto, a mantenere alta la figura del portiere italiano.

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