giovedì 30 aprile 2009

ECCO PERCHE' RUBANO I NOSTRI GIOVANI

In Italia non si possono firmare contratti prima dei 16 anni, in Inghilterra sì. In più da noi non si scommette sui giovani. E allora i vivai italiani diventano dei supermarket.

>>Marco Gaviglia

Se anche Michel Platini, presidente dell’Uefa, che di professione non fa il santo, si mobilita parlando di traffico di minori allora bisogna preoccuparsi. Ogni trasferimento all’estero dei baby-campioni nostrani fa scalpore, ma caso dopo caso lo stupore lascia spazio ad un senso di normalità. E’ come un’ammissione di impotenza, che sfocia nella rassegnazione e nell’accettazione del fenomeno. Da Giuseppe Rossi, passato dal Parma al Manchester United a 17 anni a Macheda e Petrucci, gli spunti non mancano. Questi due ragazzi classe 1991 trasferitisi sempre ai red devils, arrivano rispettivamente dai vivai di Lazio e Roma. Macheda è l’uomo, pardon, il ragazzo copertina del Regno Unito grazie alle due reti decisive firmate in Premier League contro Aston Villa e Sunderland. Il suo cartellino vale già 5 milioni di euro. Alla base di questo flusso migratorio c’è un cono d’ombra nelle pur rigide normative FIFA, che vengono aggirate grazie alle norme interne della singola Federazione. Le società inglesi, ormai specialiste in materia, possono far firmare contratti ancor prima del compimento del sedicesimo anno, momento in cui per le società italiane scatta la possibilità di far firmare ai propri tesserati gli accordi al minimo federale. Per minimo federale si intende un compenso pari a 1780 euro mensili, cifra sulla quale il procuratore non ha diritto a percentuali. La durata massima è di tre anni se si tratta del primo contratto professionistico. “Il caso Macheda – ci spiega Andrea Cecere, Agente FIFA dello studio Canovi – ha aperto gli occhi a diverse persone e sarà positivo nella gestione dei ragazzi da parte delle società professioniste. Ci sono diversi contratti pronti per essere firmati al fine di evitare nuove intrusioni da parte delle società inglesi. Del resto ritengo che questi movimenti verso l’estero spingano finalmente le società a far giocare i propri talenti. E non parlo delle amichevoli pre-campionato o dei 5 minuti in Coppa Italia. In Inghilterra, vengono fatti degli investimenti importanti sui giovani. La Lazio, ad esempio, continuerà a percepire dal Manchester 90mila euro per ogni anno trascorso da Macheda in Inghilterra fino al compimento dei 21 anni (parliamo cioè di 540mila euro, ndr)”. Platini ha apportato delle modifiche alla normativa FIFA esistente che diventeranno effettive dal 1° ottobre prossimo. Verranno aumentate le cifre delle indennità di formazione che le società dovranno corrispondere ai club di provenienza del calciatore e verrà alzata a 18 anni la soglia minima per un trasferimento all’estero. Questo vincolo sembra facilmente aggirabile facendo leva sulle necessità lavorative dei genitori. “Certamente l’intento di Platini di bloccare i trasferimenti fino al compimento del 18esimo anno è utopistico. Aumentare gli indennizzi poi non scoraggerà club come il Manchester United. Tutto risiede nella volontà di credere fortemente nei giovani e prepararli per la prima squadra”. Come si può allora evitare che questo flusso verso l’estero continui?
TI PAGO ANCHE SE NON POSSO- Visto che i nostri giovani sono bravi, le sirene arrivano copiose. Non è raro, perciò, che pur di trattenere un futuro gioiellino, le professioniste per tutelarsi elargiscano dei benefit sotto forma di buoni benzina, ricariche telefoniche, ecc…Tutto questo, ricordiamolo, per ragazzi dai 13 anni in poi. Senza parlare di chi “allunga” denaro in nero sottobanco. Sono cose, queste, fuori dalle norme del buon senso, prima che da quelle federali. Del resto, questi sono i “metodi efficaci” per evitare nuovi casi Macheda e quindi torna a prevalere il machiavellico “il fine giustifica i mezzi”. Ma è davvero così semplice giocare sulla pelle dei ragazzi? “Come Agente di calciatori – ribatte Cecere - ritengo sia necessario aiutarli a mantenere ben saldi i piedi a terra e non mettergli grilli per la testa, cosa a cui pensano ahimè già diversi allenatori pur di trattenere i ragazzi. A questa età non vanno sovraccaricati di pressioni”.

sabato 11 aprile 2009

LA SINDROME DA RUGANTINO

Non è certo la prima volta che finisce male, che finisce come non ti saresti aspettato. Che lo scherzetto del cugino fosse bello e pronto lo sentivo, non era solo la scaramanzia a farmi pensare al peggio. E, infatti, dopo 4 minuti sotto 2-0, nemmeno la grafica di mediaset lo segnala quasi a voler controllare prima che fosse vero sul serio. Così come NON vero è il calcio d'angolo che genera il primo gol di quelli con la maglia diversa dalla mia. Il primo tempo finisce 2-1 con il Rugantino di Tolosa a riaccendere una speranza corroborata da una reazione non rabbiosa ma logica e di qualità. Nella ripresa, invece, la solita solfa. Si prende il 3-1, Panucci viene espulso (spero vivamente che il secondo giallo sia per il fallo e non per la NON reazione con il numero 2 dell'altra squadra) e cala il sipario. Si fa notte quando anche Mexes pensa bene di mostrare quanto sia coatto andando e rimediare un altro rosso per un parapiglia con quel fenomeno di maniscalco brasiliano che dopo 10 secondi ha cercato di spedire una caviglia del capitano in tribuna tevere restando ovviamente impunito. Il gol di De Rossi, primo al derby, fa incazzare ancora di più prima della definitiva parola fine col gol del serbo col piede sbagliato.
Il quarto posto si allontana, le inseguitrici si avvicinano. Spalletti chiede maggior criterio nei termini che precedono le sfide per non caricare di troppa importanza il risultato. La verità è però una: allenatori e giocatori sono pagati per vincere le partite. Il resto non conta, o meglio non deve contare per chi fa di questo sport il proprio mestiere.
Piccola parentesi sugli scontri tra quegli idioti che si fanno chiamare tifosi. Fate schifo.

m.

martedì 7 aprile 2009

GIOVANISSIMI PROVINCIALI, GLI ACCOPPIAMENTI DELLE FINALI

Il 15 Aprile iniziano le finali. Per le big il problema di un campionato poco “tirato”. A livello atletico risulterà decisivo il lavoro di questa settimana, in cui si potrà “caricare” per l’ultima volta prima del rush finale.

Di Marco Gaviglia

Roma, 6 Aprile 2009 – Dopo una lunga e faticosa cavalcata, il campionato Giovanissimi Provinciali è giunto al termine. In quattro gironi, però, non è bastata la regular season per eleggere una regina. Per il resto i 23 gironi in cui il campionato era articolato, ha espresso verdetti piuttosto preventivabili in sede di sorteggio. In altre parole sono state le “solite note” a conquistare il primo posto (e di conseguenza il diritto a partecipare all’Elite il prossimo anno) e le finali. Questo a testimonianza della continuità di alcune società, probabilmente penalizzate dalla formula di questa stagione. Mercoledi 15 Aprile inizieranno le finali e si comincerà a fare sul serio dopo un campionato che non ha richiesto, almeno per le big, una concentrazione così elevata. E proprio questo potrebbe rappresentare un ostacolo per chi vuole arrivare fino in fondo, perché in dieci giorni ci si deve calare in una nuova realtà, perché le prossime partite non consentono rilassamenti. Inoltre, aspetto da analizzare con attenzione, il girone di qualificazione (di cui parleremo tra poco) prevede tre gare in una settimana, con la possibilità di un solo allenamento tra le due gare. In base al calendario serrato, risulterà fondamentale il lavoro che si svolgerà in questa settimana. Le squadre più attrezzate imposteranno di certo quattro sedute accompagnate da un’amichevole. Quando invece inizieranno le partite del girone avrà molta importanza il lavoro cosiddetto di “scarico” o di “rigenerazione” che si farà il giorno seguente la gara. Giocando mercoledi e domenica (o domenica e mercoledi se la prima giornata si riposa), diventa fondamentale il lavoro del venerdi, unico giorno in cui si può lavorare sulla velocità. Poco il lavoro a livello tattico, quel che si è fatto finora ormai è stato assimilato a lo si può andare a ricordare tramite l’esercitazione dell’ “undici contro zero”. Tra l’altro l’aver disputato un campionato a bassa intensità per la maggior parte delle compagini, comporterà il rischio di problemi muscolari nelle partite dei gironi. Non ci dovremo meravigliare se noteremo diversi casi di crampi, proprio perché inizia un periodo di partite molto tirate ed equilibrate, che nella fase di campionato appena terminata, invece, sono mancate.

FORMULA DELLE FINALI – Le finali dei Giovanissimi Provinciali saranno così strutturate: si inizia con sette gironi da tre squadre e un girone da due squadre in cui trovano posto tutte le prime classificate dei 23 gironi. Le gare si svolgeranno nei giorni di 15-19-22 Aprile. Dopo questa fase a gironi si passa ai Quarti di Finale (25 aprile-3 maggio), Semifinali (10 e 17 maggio) e Finale, prevista per il 24 Maggio. Il lotto delle 23 migliori squadre è ancora in via di definizione, perché in quattro gironi saranno necessari gli spareggi per decretare la prima posizione. Spareggi che, azzardiamo un’ipotesi, si potrebbero svolgere nella giornata di mercoledi 8 giovedi 9 aprile. Riassumiamo di seguito gli abbinamenti dei gironi


GIRONE 1: ANZIOLAVINIO, FONDI (gara di andata e ritorno)

GIRONE 2: ALETRUM CICLOPI, FONTANA LIRI, A. ROCCASECCA

GIRONE 3: P.CARSO/APRILIA (spareggio), URBETEVERE, PRIVERNO/LATINA (spareggio)
GIRONE 4: VITERBESE, PIANOSCARANO, TOR DI QUINTO

GIRONE 5: SAVIO, ROMA TEAM SPORT, RIETI/SABINIA (spareggio)

GIRONE 6: N.T.T.TESTE, OLIMPIA, FUTBOLCLUB

GIRONE 7: V. PERCONTI, AXA, L. CENTOCELLE

GIRONE 8: PALESTRINA, DELLE VITTORIE/SPES ARTIGLIO(spareggio), L. FRASCATI

mercoledì 1 aprile 2009

INTERVISTA JACOBELLI E CASIRAGHI

Interviste realizzate nel corso della trasmissione tv "Soccer Time", in onda ogni giovedi su IES TV (ch.59) alle ore 22

MARCO AMELIA, QUANDO IL FUTURO E' NELLE PROPRIE MANI

Il portiere del Palermo e della Nazionale si racconta, dagli esordi con la Lupa Frascati alla vittoria del Mondiale in Germania

>>Marco Gaviglia

Marco Amelia è un Campione del Mondo. Ma oltre ad essere un professionista esemplare, è anche una persona genuina, che intende il calcio come un divertimento.
NEL SEGNO DELLA LUPA - A quattro anni il primo contatto con il mondo del calcio, nella Lupa Frascati, dove viene alternato nei ruoli di attaccante e di portiere. “Quando inizi a fare Scuola Calcio non hai un ruolo ben preciso e quindi giocavo sia come punta che come portiere. Poi in una partita riuscii a parare un rigore e quell’episodio mi diede l’entusiasmo giusto per continuare a mettere i guanti”. Il suo DNA si tinge di giallorosso e, dopo quattro anni, passa da una Lupa all’altra. Si aprono i cancelli di Trigoria, dove entra a far parte degli Esordienti della Roma. Il suo primo preparatore dei portieri è Francesco Quintini. “Ho avuto la fortuna di essere cresciuto da dei veri professionisti. Ricordo bene che ogni esercizio veniva preceduto da spiegazioni per farci capire lo scopo e la situazione di gioco a cui si adattava. Dopo Quintini ho avuto Del Ciello, Superchi, Tancredi e Negrisolo, mentre a Livorno ho lavorato a lungo con Pietro Spinosa. Ognuno di loro mi ha dato tanto proprio perché sono stati in grado di infondermi le basi tecniche, che ritengo essere indispensabili”.
ZEMAN E CAPELLO – L’esperienza alla Roma di Marco Amelia vive di una marcia in più, quella che ogni tifoso giallorosso trova nel vestire la maglia che ha sempre sostenuto. Dopo lo Scudetto con gli Allievi Nazionali (stagione ’97-’98) due grandi campionati con la Primavera, il sapore della prima squadra gustato inizialmente grazie a Zeman e poi l’era Capello. La prima panchina di Amelia in Serie A risale al 19 dicembre 1999, in un Parma-Roma terminato 2-0 per i ducali. “Ero in ritiro con la Primavera. Mentre stavamo a pranzo mi chiamò mister Capello per dirmi che si era fatto male Lupatelli e che sarei dovuto partire per Parma. Una grande emozione visto che avevo 16 anni”. Poi la seconda Roma di Capello. “Il mister mi aggregava sempre alla prima squadra, anche se poi andavo in tribuna (per la cronaca arrivarono altre due panchine in Roma-Fiorentina del 26/11/2000 e Perugia-Roma del 3/12/2000). Ho avuto per un anno la possibilità di allenarmi con i miei idoli e arrivò anche lo Scudetto. Emozioni impossibili da raccontare ancora oggi”.
LIVORNO PARTE PRIMA – Dopo il tricolore, la Roma lo manda in prestito al Livorno, in C-1. “La cosa positiva è che venivo seguito costantemente dai dirigenti della Roma, che mi hanno sempre manifestato la loro stima. Rimasi male quando l’estate successiva fui ceduto definitivamente al Livorno, perché pensavo di rientrare a Roma. Nonostante la delusione, questo passaggio fu la mia fortuna. Dopo 10 anni passati a Trigoria considero la Roma una seconda famiglia”.
LECCE, PARMA E LIVORNO BIS – Dopo la promozione in B e un anno da protagonista sempre con il Livorno chiuso al 10° posto con Donadoni in panchina, Marco passa al Lecce dove colleziona 13 presenze prima di approdare a Gennaio al Parma. Seconda metà di campionato senza acuti, visto che davanti ad Amelia c’è Sebastien Frey. Poi il ritorno a Livorno, stavolta in Serie A, di nuovo da numero uno. Una tappa decisiva soprattutto per la continuità di utilizzo con 130 presenze in 4 stagioni.
SERATA DA BOMBER - Il 2 Novembre 2006 con un colpo di testa all’87’ in Partizan Belgrado-Livorno (Coppa Uefa) trovò la via del gol, ripercorrendo un insolito sentiero tracciato da altri colleghi prima di lui, come Rampulla e Taibi. Una rete che permise al Livorno di iniziare la rincorsa verso il passaggio della fase a gironi. Ma la cosa più “simpatica” fu l’esultanza. Premessa: i risultati stentano ad arrivare e Arrigoni viene fortemente contestato dalla tifoseria. Siamo all’ultima spiaggia, uscire dalla Uefa sarebbe stato fatale per il tecnico di Cesena. “Dopo il gol volevo dimostrare al mister la fiducia della squadra. Io non ci stavo a quel clima di contestazione e allora corsi verso la panchina e lo abbracciai così forte che gli incrinai un paio di costole. Il mister mi rinfacciò la cosa per diverso tempo perché sentì dolore a lungo (risata) anche se ovviamente fu una rete che lo fece contento”.
DALL’AMARANTO ALL’AZZURRO - La convocazione per il Mondiale di Germania è la consacrazione per uno dei migliori giovani nel suo ruolo. Parte come terzo portiere con Buffon e Peruzzi. “Seguivo con attenzione Angelo Peruzzi fin da quando giocava nella Roma. Dopo anni passati ad osservarlo da lontano cercando di “rubargli” qualcosa, eccoci compagni di squadra ...”. L’esperienza tedesca ha fatto crescere molto Amelia. “Con Calciopoli si venne a creare un clima pesante, quasi a volerci fare male. Noi ci stringemmo attorno a Lippi e ad alcuni compagni particolarmente bersagliati, con l’intento di fare un gran Campionato del Mondo senza dare ascolto alle cose che venivano dette all’esterno. Ho capito una cosa molto importante allora, ovvero che con un gruppo unito si possono ottenere grandi traguardi, qualsiasi essi siano, dalla salvezza alla vittoria di un Mondiale. Penso che sia meglio avere in squadra giocatori normali ma con grandi valori morali”.
PALERMO, OBIETTIVO CHAMPIONS LEAGUE – In estate il passaggio in rosanero, con un contratto quadriennale. “E’ molto bello giocare in una piazza come questa, la gente ti sa dare motivazioni in più. Come si dice, vincere uno scudetto con la Roma non è come vincerlo con l’Inter, qui a Palermo è uguale. Vincere qui è speciale”. L’unica competizione in cui Marco non ha giocato è la Champions League. “Quello è l’obiettivo futuro. Ecco, quando andai via dalla Roma rimasi male anche per questo perché avevamo da giocare la Champions. Sarei rimasto solo per vivere una partita del genere”. Un sogno che potrebbe avverarsi magari con questo Palermo. “Lo scorso anno si è chiuso un ciclo e la squadra, nonostante buoni risultati, è stata rinnovata. Oggi lavoriamo per costruire un futuro importante, visto che la società è sana sia a livello economico che organizzativo”.
SCUOLA PORTIERI IN CRISI ? – “Penso il contrario, i nuovi preparatori sono molto bravi, studiano e si aggiornano in continuazione. Molti di loro si ritrovano in convegni per confrontarsi. Il problema vero è che la loro figura professionale non è riconosciuta dalla Federazione. Direi più che il ruolo del portiere sembra in crisi perché le società non danno fiducia ai giovani. I grandi club non hanno il coraggio di puntare su di loro sia perché la piazza non lo consente, sia perché gli stranieri costano poco. Inoltre i loro miglioramenti derivano dal lavoro che svolgono una volta giunti qui in Italia con i nostri preparatori”.
GENITORI-ALLENATORI - “Intanto dico che i miei genitori hanno fatto uno sforzo incredibile in primis dal punto di vista economico per accompagnarmi tutti i giorni a Trigoria dagli 8 ai 18 anni. Per mia madre è voluto dire non poter pensare ad un lavoro perché doveva seguire me. Nonostante questi sacrifici mi hanno sempre appoggiato senza mai interferire sul discorso tecnico e questo fa la differenza. I genitori di oggi dalla tribuna si permettono di dire cose che spettano solo agli allenatori ed è un comportamento sbagliato. Senza parlare del viaggio di ritorno in macchina dopo la partita, lì sono anche stressanti. Dico a tutti i ragazzi di pensare solo e soltanto a divertirsi, proprio come dice sempre mio padre”.

A Marco Amelia, campione in campo e fuori, l’augurio sincero di poter coronare il sogno di arrivare a calcare i campi della Champions League e di continuare, come spesso ha fatto, a mantenere alta la figura del portiere italiano.